IL CUORE DEL PROBLEMA: L’ATTACCO AI PROPRIETARI DI IMMOBILI TURISTICI.
Molti Comuni italiani, soprattutto in località turistiche di rilievo, stanno cercando di regolamentare — spesso in modo restrittivo — gli affitti brevi, con atti che finiscono per limitare la libertà contrattuale dei proprietari.
L’obiettivo dichiarato è contenere fenomeni come l’overtourism e il progressivo svuotamento dei centri storici. Tuttavia, questi interventi, spesso, travalicano i limiti delle competenze comunali e invadono ambiti riservati a norme statali e regionali.
Una recentissima decisione del Consiglio di Stato (aprile 2025) ha fatto chiarezza, affermando un principio fondamentale che restituisce qualche certezza a chi già investe e anche a chi intende investire negli affitti brevi: l’attività di locazione turistica non imprenditoriale non può essere vietata dai Comuni.
L’ATTUALE CONTESTO NORMATIVO: TRA NORME DEL CODICE CIVILE E COMPETENZE STATALI E REGIONALI.
Il Consiglio di Stato ha ricostruito in modo preciso l’attuale quadro normativo, evidenziando che, per le locazioni turistiche non imprenditoriali, “il legislatore (regionale, ma prima ancora statale) ha mantenuto ferma una diversa disciplina di tali contratti, senza equiparare gli immobili che ne sono oggetto alle strutture ricettive”.
A livello nazionale:
– l’art. 53 del d.lgs. 79/2011 ha previsto che gli alloggi locati esclusivamente per finalità turistiche sono regolati dalle disposizioni del Codice civile in tema di locazione;
– l’art. 13-ter del d.l. 145/2023 ha confermato l’obbligo di SCIA solo per le attività di locazione turistica imprenditoriale ed ha esteso a tutti gli immobili l’obbligo di rispettare la normativa anti-incendi.
A livello regionale, nel caso concreto, in Lombardia:
– la L.R. 27/2015 non ha attribuito ai Comuni alcun potere di vigilanza e controllo in relazione alla stipula di contratti di locazione turistica non imprenditoriale.
– il Regolamento 7/2016 ha esteso alcuni obblighi tecnici, previsti per le case vacanza, agli immobili adibiti a locazioni turistiche, senza però equiparare tali immobili alle strutture ricettive.
Il punto, quindi, sta nella distinzione tra locazioni non imprenditoriali e strutture ricettive.
IL CASO CONCRETO: IL COMUNE DI SIRMIONE HA INIBITO AD UN PROPRIETARIO IMMOBILIARE L’ATTIVITA’ DI LOCAZIONE TURISTICA NON IMPRENDITORIALE.
Un proprietario ha presentato, per due immobili, la Comunicazione di inizio attività di locazione turistica non imprenditoriale (C.I.A.).
Il Comune, in risposta alla C.I.A., ha notificato un provvedimento di irricevibilità, contestando, per entrambi gli immobili, l’asserita “mancanza dei requisiti” ed anche la “indeterminatezza della capacità ricettiva”.
Il proprietario ha fatto ricorso al T.A.R., il quale, però, ha ritenuto legittimo il provvedimento comunale.
Il T.A.R., infatti, ha stabilito che il Comune ha il potere di condizionare l’inizio dell’attività alla produzione di ulteriore documentazione ed ha anche sollecitato la presentazione di una C.I.L.A. (sul presupposto – erroneo – che gli alloggi destinati alla locazione turistica, pur conservando la destinazione residenziale, anche in assenza di opere nuove o diverse, acquisirebbero una destinazione aggiuntiva) e l’esercizio dei poteri di vigilanza edilizia.
Il proprietario ha impugnato la decisione del T.A.R. dinanzi al Consiglio di Stato, che ha ribaltato la decisione.
I PASSAGGI CHIAVE DELLA DECISIONE.
Per il Consiglio di Stato:
– gli immobili del ricorrente non rientrano nella categoria della casa vacanza;
– il Comune non ha il potere di chiedere la produzione di documentazione ulteriore, né di vietare al ricorrente la stipula di contratti di locazione a finalità turistica, relativamente ai suoi due immobili con destinazione residenziale.
Perché, in base all’attuale quadro normativo, gli immobili adibiti a locazione turistica in forma non imprenditoriale non sono soggette alla disciplina prevista per le strutture ricettive.
Per tale ragione, il Consiglio di Stato, rilevando la violazione dei principi di legalità e tipicità dei provvedimenti amministrativi, ha annullato il provvedimento adottato dal Comune, in quanto:
– nessuna norma ha attribuito al Comune il potere di rifiutare la C.I.A., né di condizionare l’inizio dell’attività alla produzione di ulteriore documentazione, a maggior ragione se si tratta di documenti richiesti per le sole strutture ricettive;
– il potere di vigilanza e controllo in materia edilizia non può essere utilizzato dal Comune per inibire la stipula di contratti di locazione turistica;
– la libertà contrattuale dei proprietari immobiliari, inclusa quella di stipulare contratti di locazione turistica, è tutelata dalla Costituzione.
In breve: poteri diversi, piani diversi, limiti diversi.
CONCLUSIONI: LA TUTELA PASSA DALLA CONOSCENZA DELLE REGOLE.
Questa decisione del Consiglio di Stato ha confermato alcune indicazioni fondamentali.
I) Il turismo è materia riservata a norme nazionali e regionali.
Nel caso concreto, la legge della Regione Lombardia attribuisce ai Comuni il compito di vigilanza e controllo sulle strutture ricettive, “ma non attribuisce ai Comuni altre funzioni in materia di turismo ed in particolare non riconosce alcuna potestà regolamentare”, come pure “non attribuisce ai Comuni poteri di controllo e vigilanza sulla stipula di contratti di locazione turistica, al di fuori dell’esercizio di un’attività imprenditoriale”.
Del resto, già prima del Consiglio di Stato, la Corte costituzionale (sent. 84/2019) aveva precisato che: i) “la comunicazione preventiva si traduce in un adempimento amministrativo precedente ed esterno al contratto di locazione turistica”; ii)“le sanzioni previste per i correlativi inadempimenti non incidono sulla libertà negoziale e sulla sfera contrattuale che restano disciplinate dal diritto privato.”
II) I Comuni, dunque, non possono esercitare i poteri di vigilanza edilizia al solo scopo di impedire le locazioni turistiche non imprenditoriali.
I RISCHI PER CHI NON CONOSCE I LIMITI DEL POTERE PUBBLICO.
In un contesto in cui sempre più Comuni cercano di introdurre limitazioni, chi investe in affitti brevi rischia molto, se non conosce con esattezza i confini tra ciò che può e non può essergli imposto.
Chi non si difende legalmente, infatti, può:
– vedersi inibire definitivamente l’attività;
– subire ritardi a causa di richieste documentali infondate;
– essere costretto ad eseguire interventi edilizi non richiesti per le locazioni turistiche.
In un mercato dinamico, come quello degli affitti brevi, ad alta redditività e rapida evoluzione normativa, affidarsi a legali esperti, oggi più che mai, è una scelta strategica.